Omicidio di Maria Chindamo: I dubbi del fratello sul pentito

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Chiedo la verità e questa mi pare non lo sia»
Il 6 maggio 2016 la donna aggredita davanti al cancello della sua azienda in contrada Montalto

Vincenzo Chindamo, fratello di Maria, l’imprenditrice 44enne di Laureana di Borrello aggredita e fatta scomparire la mattina di venerdì 6 maggio 2016 in contrada “Montalto” di Limbadi, apprese le ultime notizie riguardanti sua sorella, non nasconde la sua profonda sofferenza per un dolore che il tempo non smorza e che spesso si rinnova.

Sembra quasi sia tutto frutto di una misteriosa regia che, di tanto in tanto, diffonde un nuovo elemento sull’atroce vicenda di Maria per poi coglierne e valutarne le reazioni.

Prima le lettere anonime, poi l’auto che avrebbe seguito l’imprenditrice la mattina della sua scomparsa, ora le dichiarazioni di un pentito i cui contenuti lasciano perplesso Vincenzo. Maria, in sostanza, sarebbe stata ridotta a brandelli dalle lame della fresa di un trattore oppure potrebbe essere stata data in pasto ai maiali per far scomparire ogni sua traccia. La terribile punizione le sarebbe stata inflitta per essersi opposta con determinazione alla cessione della sua azienda a Salvatore Ascone, proprietario di terreni divisi da quelli dell’imprenditrice solo dalla strada provinciale che da Limbadi porta alla Statale 18. Ascone, peraltro, nell’ambito della stessa vicenda, è stato tratto in arresto nel 2019 in quanto sospettato di aver manomesso l’impianto di videosorveglianza della propria villetta antistante il cancello d’ingresso dell’azienda di Maria Chindamo col presunto obiettivo di non registrare immagini dell’aggressione programmata a danno dell’imprenditrice. Le accuse della Procura non facevano, però, breccia nelle valutazioni del Riesame che, a distanza di poco tempo dall’arresto, disponeva la scarcerazione di Salvatore Ascone (noto come ‘u Pinnularu).

La nuova versione dei fatti emerge da un verbale del 7 gennaio 2020 contenente le dichiarazioni rese alla Dda di Catanzaro dal pentito lucano Antonio Cossidente che in carcere ha condiviso la stessa cella con Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone l’ “ingegnere” e primo collaboratore di giustizia appartenente al clan limbadese, raccogliendone le confidenze sulla scomparsa di Maria. Le dichiarazioni di Cossidente sono ora agli atti del processo relativo alle presunte pressioni che i familiari avrebbero fatto su Emanuele Mancuso per indurlo ad abbandonare ogni forma di collaborazione con la giustizia.

Il nuovo “castello” non convince, comunque, Vincenzo Chindamo poco propenso a caricare ogni responsabilità solo su Salvatore Ascone. «Sul nostro territorio – afferma – non si usa questo metodo che punta all’immediata eliminazione di un ostacolo. C’è sempre qualche avvertimento che precede l’atto cruento. Quanto riferito dai pentiti potrebbe far parte del progetto criminoso di eliminare Maria, ma non è il progetto che, a mio avviso, era a respiro più ampio e affondava le radici nella rabbia che qualcuno nutriva nei confronti di mia sorella». In altre parole «Ascone – conclude Vincenzo Chindamo – potrebbe essere al centro di un’attività ancora da chiarire, ma c’è chi, probabilmente, potrebbe averlo incoraggiato ad agire in cambio di qualcosa. Io sono pronto ad accettare qualsiasi verità, purché verità. E quest’ultima non mi pare lo sia».

Pino Brosio – Limbadi
Gazzetta del Sud 7 gennaio 2021