Assassinati lunedì pomeriggio – Duplice omicidio di Apollinara

Uccisi con 30 colpi di kalashnikov
luglio 25, 2019
‘Ndrangheta, arrestato il boss Domenico Crea
agosto 4, 2019
Una delle due vittime è stata trovata con gli occhiali da sole
Trovate tracce di dna utili allo sviluppo delle indagini condotte dai pm di Castrovillari

Luigi Cristaldi

Corigliano-Rossano – Si terrà oggi l’autopsia che servirà a dire di più sulla morte di Pietro Greco e Francesco Romano. In mattinata l’incarico sarà affidato al dottor Aldo Barbaro, scelto come medico legale dalla Procura del Pollino, mentre in queste ore sarà affidato anche l’incarico al perito balistico che farà luce sulle dinamiche dell’agguato di chiaro stampo mafioso.

I risultati serviranno proprio a dare molti più elementi alla Procura per provare a ricostruire cosa sia successo nel fondo agricolo di Apollinara e dare un’ora certa alla morte dei due. Greco e Romano, infatti, si sarebbero resi indisponibili già dalle 17,30 di lunedì quando i loro cellulari hanno smesso di suonare. Di loro non s’è saputo più nulla fino alle prime luci di martedì mattina quando alcuni agricoltori hanno segnalato la presenza della punto grigia con a bordo i loro corpi senza vita. Sono molti i punti oscuri, infatti, ai quali lavorano il sostituto procuratore Valentina Draetta – a cui è affidato il fascicolo – e il capo dei pubblici ministeri castrovillaresi Eugenio Facciolla. L’ipotesi più accreditata è che l’omicidio risalirebbe a lunedì pomeriggio quando ancora il sole era alto visto che, al momento del ritrovamento del corpo, Romano aveva addosso ancora gli occhiali da sole. Non solo, pare, infatti, che gli assassini sulla scena del delitto abbiano lasciato molti indizi che hanno ben indirizzato gli investigatori. La morte, per i due, Pietro Greco 49 anni originario di Castrovillari ma residente a Cassano da molti anni, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine per reati di droga, e Francesco Romano, 44 anni, imprenditore coriglianese incensurato ma anch’egli noto alle forze dell’ordine, potrebbe essere arrivata dalle piante di agrumi e di ulivo poste ai lati della strada dove è stata ritrovata la macchina. Dagli arbusti sarebbero spuntate fuori due persone armate di un kalashnikov e di una calibro nove che hanno firmato la mattanza. Presumibilmente “amici” perché non ci sono segni di colluttazione e non si va in un posto così periferico per incontrare persone che presumibilmente non si conoscono. Quel che è certo è che non hanno avuto scampo e in pochi secondi sono stati investiti da una pioggia di piombo. Un omicidio che ha richiamato le modalità di quello dello scorso giugno di Leonardo Portoraro seppur lo spessore criminale di Greco e Romano fosse di gran lunga inferiore a quello del boss cassanese. Gli inquirenti, infatti, lavorano sia sulla figura di Greco, sia per inquadrare l’omicidio nelle dinamiche criminali della Sibaritide. I modi con i quali i due sono stati uccisi farebbe pensare più ad una punizione per qualche sgarro fatto al clan degli Zingari che domina nella zona e per lanciare un segnale forte e inequivocabile a chi non rispetta le loro regole. Nel 2016 i Carabinieri di Cassano arrestarono Pietro Greco perché gli trovarono una pistola mentre già allora era sottoposto al regime di sorveglianza speciale che gli era stata inflitta perché era stato coinvolto nell’operazione Knock out del 2010. L’uomo si occupava della droga sull’asse Castrovillari-Rosarno. I contatti tra fornitori e intermediari, riportano gli investigatori, avvenivano nel suo ufficio. Una storia difficile quella della sua famiglia. Il fratello Sandrino, anch’egli già noto alle forze dell’ordine per reati di spaccio di droga, venne ucciso nel gennaio del 2011 dopo un inseguimento in auto con i Carabinieri. Il fatto avvenne a Rossano. I militari, mentre effettuavano un posto di blocco, intimarono l’alt ad un fuoristrada, presumibilmente rubato a Mirto Crosia, che però proseguì la sua corsa speronando il mezzo dei militari. Ne scaturì un inseguimento e un conflitto a fuoco nel quale Sandrino Greco, allora 36enne, morì. Anche la figura di Romano è finita sotto la lente dei magistrati in queste ore. Gli inquirenti sapevano che spesso s’accompagnava con gente della malavita della zona ma rimane da capire che ruolo avessero entrambi. Non è chiaro se queste uccisioni insieme a quella di Pietro Longobucco e alle sparizioni di Antonio Sanfilippo, e Cosimo Rosolino Sposato, scomparso quasi un mese fa e anch’egli con la fedina penale pulita ma attenzionato dalle forze dell’ordine per le sue frequentazioni, siano collegate alla possibile nascita di un nuovo gruppo criminale che non accettavano l’attuale spartizione del territorio tra Zingari e Forastefano e per evitare il sorgere di una guerra ancora più sanguinosa questi vengano eliminati per precauzione. Intanto, in Procura domani verrà affidato l’incarico per l’autpsia che si sovolgerà nell’obitorio del cimitero di Cassano dove i due corpi sono stati portati martedì dopo che il magistrato ne ha autorizzato la rimozione. Si attendono anche le risultanze delle verifiche fatte dagli uomini del Nucleo investigativo di Cosenza, diretti dal Capitano Michele Borrelli, che hanno battuto palmo a palmo tutta l’area repertando proiettili, impronte e pare anche tracce di dna.

Il costante uso del mitragliatore

L’ultima occasione, prima di lunedì sera, in cui viene utilizzato il kalashnikov è mercoledì 6 giugno 2018 quando viene ammazzato Leonardo Portoraro, presunto boss garante della pax mafiosa che per anni ha retto nell’area fino alla sua dipartita. Portoraro fu ucciso intorno alle 11,10 davanti al ristorante “Tentazioni” a Villapiana. I due sicari arrivarono a bordo di una Audi A3, risultata poi rubata il 17 ottobre del 2017 a Rossano, crivellarono di colpi l’uomo originario di Cassano. Trentasei colpi di cui trentacinque andati a bersaglio, inferti con un kalashnikov e una pistola, che determinarono la fine di quello che dalle indagini emergeva come il ministro dei lavori pubblici della ‘ndrangheta della Calabria Jonica cosentina. Stessa tipologia di armi con le quali sono stati uccisi Greco e Romano.

Quei killer senza volto terrorizzano la Sibaritide

Eugenio Orrico

Cassano – I morti tanno lì e sono l’unica cosa certa nella terra della violenza e della paura. Quel che non si vede in quest’area, in cui i rivoli del sangue hanno ricominciato a scorrere con una certa frequenza, sono i sicari, gli esecutori materiali dei delitti, gli autori delle esecuzioni comandate dai mammasantissima. Non si vedono e fanno paura i sicari. Fanno Paura più dei mammasantissima. Terrorizzano la gente comune e – presumibilmente – pure gli affiliati alle ‘ndrine. Perché stanno nell’ombra, dormienti quanto basta, fino a quando non ricevono l’ordine. Poi compaiono all’improvviso e distribuiscono morte, con una certa precisione, e infine tornano a confondersi col nulla. Stanno lì, fuori dai tribunali, i sicari. La loro ombra è apparsa fugace nell’aula della Corte d’assise di Cosenza dove nello scorso mese di gennaio è stata pronunciata la condanna a carico di Cosimo Donato, di 42 anni e Faustino Campilongo di 41. Entrambi dovranno scontare l’ergastolo per la loro partecipazione alla strage avvenuta cinque anni fa in contrada Fiego di Cassano, dove il tribunale criminale ha eseguito la sentenza capitale del piccolo Cocò Campilongo, del nonno Peppe Iannicelli e della marocchina Betty Toussa. Secondo i giudici Donato e Campilongo hanno partecipato alla strage, ma non sarebbero gli esecutori materiali. Quelli sono ancora liberi d’agire e distribuire morte a chi sgarra, a chi non è gradito al capo che regge le sorti criminali della Sibaritide.

Fanno paura quei killer. Fanno paura perché a quanto pare non si fermano davanti a nulla. Non hanno avuto pietà d’un bimbo: ci si figuri quanti problemi si possano fare a eliminare picciotti e sgherri o vecchi boss che son d’ostacolo alle aspirazioni di chi gestisce questa sanguinaria manovalanza.

Stanno lì, nell’ombra, impuniti i killer del piccolo Cocò.

Con la condanna all’ergastolo a carico di Cosimo Donato e Faustino Campilongo la Corte d’assise di Cosenza ha chiuso solo un capitolo, ha fatto luce parzialmente su quel che avvenne in quella località impervia della campagna cassanese il 16 gennaio del 2014. Fuori dall’aula del tribunale di Cosenza, fuori dal recinto della giustizia dello Stato restano i killer, i sicari: gente senza volto, senza scrupoli e capaci di seminare morte a comando.

Agli inquirenti adesso toccherà accertare se sono state le stesse mani a firmare gli ultimi omicidi che hanno gettato nello sgomento la Sibaritide.

Donato e Campilongo condannati per aver partecipato all’esecuzione