Valle D’Aosta, il pentito Panarinfo parla di “Cocò” di Arcangelo Badolati

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Arcangelo Badolati

Cosenza – Il “traditore”. Daniel Panarinfo, 38 anni, è il collaboratore di giustizia che ha svelato l’esistenza di un “locale” di ‘ndrangheta nella paciosa Valle d’Aosta. Lui, da “contrasto onorato”, seguiva come un’ombra Bruno Nirta, sanluchese di origine ma con interessi nel mondo del traffico di droga in Italia e Spagna. Gli era talmente legato che aveva deciso di fargli battezzare il figlioletto: la cerimonia doveva tenersi nel settembre del 2016 nel Santuario della Madonna di Polsi. Il presunto boss e l’odierno pentito – che ha tra l’altro raccontato ai pm di essere un Testimone di Geova – dovevano venire in Calabria per celebrare il rito destinato a legarli per sempre quasi come parenti. Poi, però, Panarinfo s’è  impossessato d’una somma di denaro legata alla vendita di una partita di stupefacenti e, temendo di fare una brutta fine, s’è messo a cantare. E così ha raccontato dei viaggi nella Penisola iberica, dei soggiorni a Barcellona, degli incontri di affari con emissari delle gang marocchine capaci di esportare tonnellate di hashish attraverso l’attracco dei cargo nei porti spagnoli e, ancora, dell’incontro con Vincenzo Macrì parente diretto del boss dei due mondi, quell’Antonio Macrì assassinato a Siderno nel 1975 dopo una partita a bocce. Il collaboratore ha parlato anche del rappoprto tra i fratelli Bruno e Giuseppe Nirta, entrambi di San Luca ed i loro parenti residenti nell’Aostano. Giuseppe sarà poi assassinato da un commando di killer a Murcia, in Spagna, il 9 giugno del 2017: Panarinfo parlerà di lui come d’un uomo «freddo e astuto» che temeva particolarmente. Il pentito svelerà d’essere stato addirittura ospite, a San Luca, dei Nirta nella casa di famiglia a conferma della fiducia che s’era guadagnato. Una “fiducia mafiosa” evidentemente mal riposta considerato che l’ex malavitoso, insieme con i collaboratori Domenico Agresta di Volpiano, inteso come “McDonald’s” (nipote dei Marando di Platì) e Rocco Ieranò di Cinquefrondi, risulta tra le principali fonti d’accusa nell’inchiesta “Geenna” della Dda di Torino che ricostruisce pedissequamente l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella regione alpina della Penisola che confina con la Francia.

Ma Daniel Panarinfo, deciso a rompere con il mondo della criminalità organizzata «perché» spiega ai magistrati piemontesi «si sono presi la mia vita» parla anche di uno dei fatti di sangue più cruenti mai avvenuti in Calabria: l’uccisione d’un bimbo di tre anni, avvenuta a Cassano il 16 gennaio del 2014. “Cocò” Campolongo venne assassinato e poi bruciato insieme con il nonno, Giuseppe Iannicelli, pregiudicato sibarita, ed una donna marocchina, Betty Taoussa. Il pentito ha svelato al procuratore aggiunto antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto, di aver appreso notizie sul barbaro triplice delitto. E le sue dichiarazioni sono confluite nel processo conclusasi nelle scorse settimane con la condanna all’ergastolo di Fausto Campilongo e Cosimo Donato riconosciuti come concorrenti nel macabro agguato ed esecutori materiali della distruzione con il fuoco dei corpi delle tre vittime. Il trentottenne ha dichiarato che il “santista” Bruno Nirta gli aveva raccontato del coinvolgimento di Campilongo nell’uccisione del piccolo “Cocò” spiegandogli che, quest’ultimo, aveva partecipato al delitto per “entrare”, cioè ottenere la rituale affiliazione alla ‘ndrangheta. «Me ne parlò mentre c’era un servizio in televisione sul fatto». Nirta – aggiunge il collaboratore – gli aveva fatto questa confidenza appresa in ambienti della mafia calabrese. Di Paraninfo, in relazione alla strage di Cassano, parla anche il pentito Domenico Falbo, detto “il cireneo”, cassanese doc e legato al clan Forastefano, assumendo di aver ricevuto dal trentottenne piemontese, durante un periodo di comune detenzione nel carcere di Torino, indicazioni sul triplice omicidio consumato nel gennaio di cinque anni fa nella Piana di Sibari. Le loro dichiarazioni tuttavia non collimano. Comunque sia, Daniel Panarinfo era davvero entrato nel cuore di importanti ‘ndranghetisti forse custodi di segreti inconfessabili. Come può esserlo l’uccisione di un bambino.