Il clan Scalise «ordinò» l’omicidio Pagliuso

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Dopo l’agguato al penalista il killer informò subito la compagna del boss con un sms

Gaetano Mazzuca

Catanzaro – Svelata l’identità dei mandanti dell’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso ucciso il 9 agosto 2016 a Lamezia Terme. Secondo la Dda di Catanzaro ad armare la mano del killer Marco Gallo sarebbero stati Pino Scalise e suo figlio Luciano esponenti di vertice della cosca di Decollatura. Il penalista avrebbe pagato con la vita la sua vicinanza con la famiglia Mezzatesta, in lotta con gli Scalise per il controllo del Reventino. Il tassello che mancava nella ricostruzione del brutale delitto è contenuto nella nuova ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip distrettuale Paolo Mariotti per le persone che lo scorso 10 gennaio erano state raggiunte dal provvedimento di fermo nell’ambito dell’inchiesta “Reventinum”. Nel nuovo provvedimento, inoltre, sono stati inseriti Domenico e Giovanni Mezzatesta (padre e figlio già detenuti per il duplice omicidio di Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo avvenuto nel gennaio 2013 a Decollatura) accusati adesso di essere i promotori della cosca Mezzatesta. Di associazione mafiosa per aver fatto parte invece del clan Scalise deve rispondere Marco Gallo l’insospettabile perito 33enne killer freddo e preciso già in carcere per gli omicidi di Francesco Pagliuso, Gregorio Mezzatesta e Francesco Berlingieri. Restano confermate le accuse di sequestro di persona e minacce riferibili all’episodio in cui l’avvocato Pagliuso venne portato in un bosco incappucciato e fatto inginocchiare davanti a una buca scavata con una pala meccanica. Per il gip dalle dichiarazioni raccolte dagli investigatori dell’Arma «emerge con chiarezza la rispondenza dei fatti». Con la stessa ordinanza, infine, il gip ha disposto la scarcerazione di sei indagati: Cleo Bonacci, Eugenio Tomaino, Giovanni Mezzatesta (classe ’76), Livio Mezzatesta, Giuliano Roperti, e Ionela Tutuianu (moglie di Domenico Mezzatesta).

L’omicidio Pagliuso, si ricostruisce negli atti dell’inchiesta, «fu commissionato perché era dagli Scalise ritenuto responsabile di aver agevolato e favorito il capo della cosca rivale Domenico Mezzatesta, sia nel processo che vedeva quest’ultimo, insieme al figlio Giovanni (classe 74, ndr) responsabile del duplice omicidio di Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo» (soggetti legati a doppio filo alla cosca Scalise), sia nel periodo della latitanza di Domenico Mezzatesta (ritenuto il boss dell’omonima cosca), latitanza durante la quale veniva ucciso Daniele Scalise (il 28 giugno 2014), figlio di Pino e anch’egli elemento di spicco della sua consorteria. Nell’ordinanza si rilevano i contatti tra Gallo e Luciano Scalise, contatti che si sarebbero intensificati nei giorni che precedenti all’omicidio, «proprio mentre Gallo effettuava i sopralluoghi» davanti casa dell’avvocato Pagliuso e nei pressi della sua residenza estiva a Nocera Terinese. Anche la sera dell’agguato pochi minuti dopo l’omicidio dal telefono di Gallo sarebbe partito un sms verso l’utenza in uso alla compagna di Luciano Scalise che rispondeva appena un minuto dopo. Infine, il pomeriggio seguente Gallo sarebbe rimasto per almeno un’ora nel bar gestito da Luciano Scalise. Per il giudice «l’intensità dei rapporti riscontrata nei momenti coevi all’omicidio, il movente, le precedenti minacce mosse nell’interesse del gruppo criminale depone inequivocabilmente a favore di tale ricostruzione». Al contrario non vi sarebbero contatti di Gallo con Pino Scalise e per questo al momento «non è possibile individuare in concreto il ruolo avuto da Pino Scalise».

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