Nel giorno del ricordo di Paolo Borsellino, i giudici affermano: «La trattativa Stato-Mafia accelerò la sua morte»

Mafia, duro colpo al clan dei Casamonica e il legame con le cosche calabresi
luglio 20, 2018
Un morto in agguato di ‘ndrangheta, grave un bambino di 10 anni di Alessia Candito
luglio 22, 2018

Anniversario uccisione Paolo Borsellino. Mattarella: “Non smettere di cercare la verità”

26 anni dalla strage di Via d’Amelio, Palermo si ferma per ricordarlo. Il messaggio del fratello del giudice, Salvatore: “Mi aspetto molto da M5S”

Palermo si ferma per ricordare la strage di via d’Amelio, nel ventiseiesimo anniversario, per non dimenticare. “Onorare la memoria del giudice Borsellino e delle persone che lo scortavano significa anche non smettere di cercare la verità su quella strage” afferma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chiedendo di non fare passi indietro nel far luce su quanto avvenne il 19 luglio 1992, quando Cosa Nostra consumò la sua vendetta omicida contro Paolo Borsellino e la sua scorta.

“A ventisei anni di distanza – afferma il presidente Mattarella – sono vivi il ricordo e la commozione per il vile attentato di via d’Amelio, in cui hanno perso la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Borsellino era un giudice esemplare: probo, riservato, coraggioso e determinato. Le sue inchieste hanno costituito delle pietre miliari nella lotta contro la mafia in Sicilia. Insieme al collega e amico Giovanni Falcone, Borsellino è diventato, a pieno titolo, il simbolo dell’Italia che combatte e non si arrende di fronte alla criminalità organizzata”.

Su Twitter anche il premier Giuseppe Conte scrive che “la ricerca della verità su Via D’Amelio è un dovere per l’Italia che crede nel loro esempio e nell’onestà”.

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, intervenendo su Radio1 Rai, ha affermato che “le negligenze in occasione della strage e tutto quello che sta emergendo in termini di depistaggi pongono lo Stato in una condizione in cui deve chiedere scusa ai familiari di Paolo Borsellino, agli agenti della sua scorta e al popolo italiano che ha subito una ferita non rimarginata e che ancora sanguina. Ma, al tempo stesso – prosegue il Guardasigilli – lo Stato deve essere fiero e orgoglioso dell’impegno di magistrati, forze dell’ordine e associazioni che coltivano la memoria da portare alle nuove generazioni che hanno lottato e si sono battuti per la ricerca della verità”.

Un’immagine d’archivio dell’attentato di via D’Amelio nel quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino. ARCHIVIO ANSA – CD

Stamattina Via Mariano D’Amelio si è trasformata in un “campus” per bimbi con attività ricreative, giochi, letture con l’iniziativa “Coloriamo via D’Amelio” in occasione dell’anniversario dalla strage. Centocinquanta bambini di sei scuole hanno partecipato anche a laboratori nell’ambito del progetto ‘Lo sport è un diritto per tutti’. Con in bambini ci sono anche il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, il sindaco Leoluca Orlando, e Rita Borsellino. “Verità e giustizia – ha detto il ministro – sono valori importanti per la vita dell’uomo. A questi si aggiunge la ricerca della libertà personale. Ricordiamo oggi questa tragedia che ha un valore simbolico forte che vuole trasmettere ai ragazzi dei valori importanti. La scuola vuole trasmettere anche valori legati a quel senso etico e di partecipazione che oggi sono da ricercare individualmente e collettivamente”

Il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, in un’intervista al blog delle Stelle, chiede al Governo di aiutare la ricerca della verità. “Se si vuole passare veramente a una terza Repubblica, bisognerebbe mettere al primo posto la ricerca della verità. C’è un peccato originale da lavare, e se non si lava questo peccato originale; se non si lava il sangue delle stragi, non ci potrà mai essere niente di nuovo. Io mi aspetto molto da quei ragazzi che una volta mi invitarono a Pomigliano d’Arco. Fu proprio Luigi Di Maio a invitarmi. Allora era un ragazzino. Si parlò di verità e di giustizia e ritengo fondamentale che Luigi continui a parlare di verità e di giustizia, adesso che ha degli incarichi di governo ed è finalmente arrivato lì dove si può fare qualcosa”.

Per i giudici la trattativa Stato-mafia accelerò l’esecuzione di Borsellino

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Palermo

La trattativa Stato-mafia accelerò l’esecuzione di Borsellino: è quanto si legge nelle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Palermo.  ​”Non vi è alcun elemento di prova che possa collegare il rapporto ‘Mafia e appalti’ all’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione di Borsellino”, come sostenuto in particolare dalle difese degli ufficiali del Ros. Piuttosto, “l’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione del dottore Borsellino” fu determinata “dai segnali di disponibilità al dialogo – ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D’Amelio”.

Così si legge nelle motivazioni del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, depositate oggi dal presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto, allo scoccare dei 90 giorni previsti dalla pronuncia della sentenza, avvenuta il 20 aprile scorso, con la condanna, fra gli altri, di Mori, Marcello Dell’Utri e Massimo Ciancimino. Un deposito avvenuto nel giorno del 26esimo anniversario della strage di via D’Amelio. Per cui, secondo i giudici, “non vi è dubbio” che i contatti fra Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, “unitamente al verificarsi di accadimenti (quali l’avvicendamento di quel ministro dell’Interno che si era particolarmente speso nell’azione di contrasto alle mafie, in assenza di plausibili pubbliche spiegazioni) che potevano ugualmente essere percepiti come ulteriori segnali di cedimento dello Stato, ben potevano essere percepiti da Salvatore Riina già come forieri di sviluppi positivi per l’organizzazione mafiosa nella misura in cui quegli ufficiali lo avevano sollecitato ad avanzare richieste cui condizionare la cessazione della strategia di attacco frontale allo Stato”.

Peraltro ciò è più vero se si tiene conto, del  fatto che tale indagine – mafia e appalti – “non era certo l’unica né la principale di cui Borsellino ebbe ad interessarsi in quel periodo, che nessun spunto idoneo a collegare tra la vicenda ‘mafia e appalti’ con la morte di Borsellino è possibile trarre dalle dichiarazioni dei tanti collaboratori di giustizia esaminati e cui, per altro, la vicenda ‘mafia e appalti’ è ben nota”.

Borsellino, i giudici: «La trattativa Stato-Mafia accelerò la sua morte»

Per la Corte d’assise di Palermo l’invito al dialogo al boss Totò Riina, dopo la strage di Capaci, indusse Cosa Nostra ad accelerare i tempi dell’eliminazione del magistrato

L’invito al dialogo che i carabinieri fecero arrivare al boss Totò Riina, dopo la strage di Capaci, sarebbe l’elemento di novità che indusse Cosa Nostra ad accelerare i tempi dell’eliminazione di Paolo Borsellino. Lo sostengono i giudici della corte d’assise di Palermo che hanno depositato le motivazioni delle condanne a Mori, De Donno, Subranni, Dell’Utri e dell’assoluzione per Mancino, il 20 aprile scorso, nel processo sulla cosidetta trattativa Stato-mafia. «Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell’accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla `trattativa´ conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, – scrivono – in ogni caso non c’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato e di lucrare, quindi, nel tempo dopo quell’ulteriore manifestazione di incontenibile violenza concretizzatasi nella strage di via d’Amelio, maggiori vantaggi rispetto a quelli che sul momento avrebbero potuto determinarsi in senso negativo».

Smontata la difesa

La corte «smonta» poi le tesi dei legali degli imputati, in particolare degli ufficiali del Ros, che attribuivano l’accelerazione dei tempi della strage all’indagine mafia-appalti che il magistrato stava effettuando e anche alla possibilità di una sua nomina a Procuratore nazionale antimafia: «Non vi è alcun elemento di prova che possa collegare il rapporto `Mafia e appalti´ all’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione di Borsellino». Che fu invece determinata «dai segnali di disponibilità al dialogo – e, in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D’Amelio». Le motivazioni sono state depositate proprio allo scoccare dei 90 giorni previsti dalla pronuncia della pena e proprio nel giorno del 26esimo anniversario della strage di via D’Amelio e dell’invito di Mattarella a continuare a cercare la verità. Secondo i giudici, «non vi è dubbio» che i contatti fra Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, «unitamente al verificarsi di accadimenti (quali l’avvicendamento di quel ministro dell’Interno che si era particolarmente speso nell’azione di contrasto alle mafie, in assenza di plausibili pubbliche spiegazioni) che potevano ugualmente essere percepiti come ulteriori segnali di cedimento dello Stato, ben potevano essere percepiti da Salvatore Riina già come forieri di sviluppi positivi per l’organizzazione mafiosa nella misura in cui quegli ufficiali lo avevano sollecitato ad avanzare richieste cui condizionare la cessazione della strategia di attacco frontale allo Stato». Peraltro ciò è più vero se si tiene conto, del fatto che tale indagine – mafia e appalti – «non era certo l’unica né la principale di cui Borsellino ebbe ad interessarsi in quel periodo, che nessun spunto idoneo a collegare tra la vicenda `mafia e appalti´ con la morte di Borsellino è possibile trarre dalle dichiarazioni dei tanti collaboratori di giustizia esaminati e cui, per altro, la vicenda `mafia e appalti´ è ben nota».

tratto da: huffingtonpost, agi e corriere della sera