Il superboss pentito cosentino Franco Pino è rimasto senza protezione

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di Arcangelo Badolati.

Il superpentito “scaricato”. Linguaggio forbito, memoria di ferro, capacità affabulatorie, astuzia: Franco Pino, l’ex padrino dagli “occhi di ghiaccio”, è ritenuto una fonte preziosa. Una sorta di versione calabrese di Tommaso Buscetta, Angelo Siino, Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia perchè aveva le mani in pasta in ogni affare e, spesso, l’ultima parola sulla vita e la morte di tanta gente. Pino è stato il più potente boss dell’area settentrionale della Calabria. Coltivava rapporti stabili con i capibastone della cosca Destefano- Tegano di Reggio, quelli dello storico clan Piromalli della Piana di Gioia Tauro, del gruppo Pelle di San Luca, con i camorristi della Nco di Raffaele Cutolo, con i catanesi della consorteria Santapaola. Il suo “ufficio” era il retro di un celebre negozio di fiori di Cosenza: lì riceveva sodali di cosca, “compari” provenienti da tutta Italia e gente comune che si rivolgeva a lui per ottenere assistenza e aiuto. Pino manteneva legami solidi con imprenditori locali e esponenti politici riuscendo a condizionare la vita sociale e economica del capoluogo bruzio. Le sue incursioni avvenivano pure nel mondo sportivo quando c’era da “aggiustare” qualche partita importante nel campionato nazionale cadetto.
Nel 1995, dopo tre decenni vissuti pericolosamente, il boss ha scelto di collaborare con la giustizia. Sapeva che i pentimenti degli “azionisti” Roberto Pagano, Nicola e Dario Notargiacomo l’avrebbero fatto finire in carcere per tutta la vita. Decise perciò di cambiare il senso della propria esistenza confessando ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro i retroscena di decine e decine di crimini. In questi anni, sempre assistito dal suo storico difensore, l’avvocato Vittorio Colosimo, ha deposto in numerosissimi dibattimenti in Calabria, Campania, Sicilia, Lombardia, Umbria e Piemonte. Fu lui, peraltro, a svelare per primo della riunione tenuta in un villaggio turistico di Nicotera tra i maggiori esponenti della ‘ndrangheta e gli emissari dei corleonesi di Totò Riina che chiedevano ai mafiosi calabresi di partecipare alla strategia stragista che di lì a poco avrebbe insanguinato non solo la Sicilia ma tutto il resto del Paese (basti pensare agli attentati compiuti a Roma, Milano e Firenze).

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