Due innocenti uccisi per errore dai clan. La verità arriva dopo trent’anni di misteri a Torino

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La scena del delitto: Walter Briatore, imprenditore di 36 anni, ucciso in via Monfalcone da un sicario

Walter Briatore fu freddato nel 1988 con un colpo alla nuca, pochi mesi dopo Roberto Rizzi. Ma l’obiettivo dei sicari era un terzo uomo

Questa è la storia di una mattanza, ma di innocenti. Di due morti che non c’entrano nulla con la malavita, ma che la mafia ha ucciso lo stesso. Per sbaglio: prima l’uno e poi l’altro. Ed è la storia delle loro famiglie costrette a vivere per 30 anni con un fardello di ombre finte e taglienti: di amanti che non ci sono mai stati, di debiti mai esistiti, di chiacchiere e sospetti diventati silenzio. Di assenza di verità e di giustizia.

Torino, 16 luglio 1988, via Monfalcone, civico 92, ore 7,50. Un uomo è appena uscito di casa, ha comprato il pane nella latteria di fiducia, l’edicolante gli ha sporto La Stampa. Percorre una ventina di passi per raggiungere la sua auto, una Citroen Bx rossa targata Cuneo; un giro di chiave per aprire la portiera. Uno sconosciuto sbuca dal muretto laterale di una fabbrica, gli si avvicina alle spalle e gli spara. Un solo colpo, alla nuca, esploso da una calibro 45.

La ricetrasmittente dei carabinieri di Mirafiori gracchia nel silenzio di una Torino svuotata dalle prime partenze estive: «È un’esecuzione» scandisce un militare alla centrale operativa. Un regolamento di conti, si dirà. E come pensare altrimenti in una città – in quegli anni – insanguinata da decine di omicidi quasi tutti appannaggio di bande mafiose o paramafiose legate ai cartelli della ’ndrangheta e del clan dei Cursoti catanesi. Eppure non è cosi.

Perché Walter Briatore, 36 anni, originario di Roburent (Cuneo), ex rappresentante della «Star», divenuto da poco imprenditore in proprio di una ditta che commercia prodotti alimentari per case di riposo e ospedali pubblici, non c’entra niente con la malavita. Non ha debiti e non ha amanti. Nessuno lo odia, nessuno lo vuole morto. I sicari della mala lo hanno ucciso per sbaglio.Credevano fosse Francesco Di Gennaro, «Franco il Rosso», precedenti per estorsione, gioco d’azzardo e usura. E per sbaglio, sempre inseguendo il fantasma imprendibile della loro mission criminale, i killer del gruppo Belfiore-Saffioti avevano già ucciso (un anno prima, il 20 maggio 1987) Roberto Rizzi anche lui totalmente estraneo a ‘ndrangheta e Cosa Nostra. Gli avevano sparato in un bar di via Pollenzo, ma anche lui non era Di Gennaro: anche lui era l’uomo sbagliato. Una mattanza di innocenti, una strage di onesti.

Trent’anni e quattro mesi dopo quella macelleria criminale, la polizia e la procura hanno rispolverato il faldone di quell’omicidio. Le indagini sono state riaperte e partono da una nuova certezza: non erano Rizzi e Briatore i veri obiettivi dei sicari della malavita calabrese che invece cercavano «Franco il Rosso» ucciso davvero, al terzo tentativo, due mesi più tardi: il 24 agosto 1988. Le vittime e il vero bersaglio avevano in comune solo alcuni tratti somatici: i baffi, i capelli folti scuri, pettinati all’indietro. Ma si può morire per questo?

Le indagini sono fitte e un tassello è già andato al suo posto: Roberto Rizzi fu ammazzato da Vincenzo Pavia, 62 anni, killer scelto della famiglia di ‘ndrangheta Belfiore. Lui stesso ha ammesso recentemente agli investigatori di aver ucciso il giovane: «Mi indicarono la persona sbagliata» ha svelato. È malato Pavia, sa che prima o poi morirà. Da qui una coscienza da alleggerire: «Da quel giorno nella mia vita c’è stata una frattura. Quel poveretto non c’entrava niente. Saffioti mi indicò un uomo seduto a un tavolino del bar. Ammazzalo, è lui, mi disse. E io feci il mio lavoro. Per 30 anni non sono riuscito a dimenticare il viso di quel poveretto».

E ora si fanno fitte le indagini sull’autore dell’omicidio Briatore, collocato ormai con ragionevole sicurezza come seconda vittima innocente di una scia di sangue che ben racconta il clima di Torino a pochi anni di distanza dall’omicidio del Procuratore Capo. La caccia a mandanti ed esecutori si concentra verso il gruppo criminale calabrese all’epoca capitanato da Sasà Belfiore e Saverio Saffioti in cui – tra gli altri – gravitavano anche Placido Barresi, Vincenzo Pavia e molti altri «uomini d’azione»: una batteria di banditi che insieme annovera decine di omicidi all’attivo (molti dei quali confessati). Tutta gente che sa molto dell’omicidio di Caccia, ucciso da un commando della ‘ndrangheta il 26 giugno 1983, l’ennesima vittima della mattanza degli innocenti che da pochi giorni ha una riga in più, un nome e un cognome: Walter Briatore, 36 anni, l’uomo sbagliato.

Fonte: https://www.lastampa.it/2019/01/05/cronaca/due-innocenti-uccisi-per-errore-dai-clan-la-verit-arriva-dopo-trentanni-di-misteri-XGpML3D3b3xxtffTbeM8iJ/pagina.html