Le mani della mafia sull’ippodromo di Palermo

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Fino a quando un fantino…

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 Pizzo, “legnate” agli incorrutibili e mazzette: così i boss gestivano l’ippodromo di Palermo.

Avevano messo su un sistema di gare truccate gestite da Cosa nostra che decideva quale cavallo dovesse vincere e intascava i soldi delle scommesse. Con la complicità di fantini, titolari di scuderie e allenatori. Ci sarebbero stati gli interessi della mafia dietro la gestione delle corse all’ippodromo di Palermo. Per questo i carabinier hanno arrestato 9 persone, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori aggravato in concorso e frode in competizioni sportive.

In manette nell’ambito dell’operazione denominata “Corsa Nostra” sono finiti diversi insospettabili personaggi di spicco del mondo delle corse dei cavalli cittadino, tra cui Gloria Zuccaro, giovane promessa dell’ippica: finita agli arresti domiciliari, è accusata, insieme con Giuseppe Greco e Giovanni Niosi, di trasferimento fraudolento di valori aggravato in concorso, proprietaria, per i pm, di uno dei cavalli del boss Niosi.

L’inchiesta – coordinata dal Procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai pm Roberto Tartaglia, Amelia Luise e Annamaria Picozzi – deriva dall’operazione ‘Talea’ del dicembre 2017, e “ha permesso di documentare come Cosa Nostra esercitasse un controllo sull’ippodromo di Palermo”. Anche i summit dei ‘picciotti’ della mafia venivano organizzati nelle scuderie per paura di essere intercettati. Gli indagati sono ritenuti dagli inquirenti vicini al clan di San Lorenzo e Resuttana.

La struttura, che sorge ai margini del parco della Favorita, venne chiusa con un decreto formalizzato l’8 marzo 2017 dal ministero delle Politiche agricole, in cui si parla di “infiltrazioni criminali”. L’inchiesta attuale ha permesso di documentare come l’associazione mafiosa esercitasse sull’ippodromo un Controllo pressoché totale, richiedendo, attraverso addetti del settore “vicini”, una percentuale del volume d’affari, quantificabile in 4 mila euro al mese, manipolando le corse ippiche attraverso alcuni storici fantini, vicini agli affiliati mafiosi, i quali minacciavano i colleghi in modo da alterare il risultato; lucrando sulle scommesse relative alle corse ippiche, effettuate sia presso gli sportelli presenti nell’ippodromo sia presso la rete delle agenzie esterne dislocate sul territorio, e facendo confluire le relative vincite nelle casse dell’organizzazione mafiosa. In particolare, le indagini hanno fatto emergere che i responsabili di tutte le attivita’ relative all’ippodromo per conto di Cosa nostra fossero prima Giovanni Niosi e poi Sergio Napolitano, entrambi – in periodi diversi, già reggenti del mandamento di Resuttana. Nel caso in cui uno dei fantini non si fosse sottomesso alle indicazioni provenienti dagli esponenti mafiosi, scattavano gravi ritorsioni: dalle minacce di morte, agli attentati intimidatori fino alle aggressioni.

Su mandato dei mafiosi siciliani, inoltre, è stato alterato il risultato di almeno 4 corse ippiche avvenute, tra il 2016 e il 2017, presso gli ippodromi di Palermo, Taranto e Follonica.

Il pizzo era pagato regolarmente alle famiglie mafiose di San Lorenzo e Resuttana dagli anni ’80 fino al 2008, le gare sistematicamente pilotate e i metodi “tradizionali” – danneggiamenti, intimidazioni e perfino attentati – per mettere le cose in chiaro generando un clima di paura. E ancora da 500 a duemila euro per corrompere i driver “amici”. Ecco cosa succedeva all’ippodromo “La Favorita” da decenni. E’ quanto emerge dall’operazione “Corsa nostra” messa a segno stamani dai carabinieri e che ha portato all’arresto di nove persone tra driver, gestori di scuderie e allenatori. Determinanti le intercettazioni e le deposizioni di vari collaboratori di giustizia.

Secondo quanto ricostruito, la mafia esercitava sull’ippodromo “un controllo pressoché totale richiedendo, attraverso addetti del settore ‘vicini’, una percentuale del volume d’affari, quantificabile in quattromila euro al mese; manipolando le corse attraverso alcuni storici driver, vicini agli affiliati mafiosi, i quali minacciavano i colleghi in modo da alterare il risultato; lucrando sulle scommesse relative alle corse”.

Nel 2014 a parlare dell’ippodromo è il collaboratore Vito Galatolo, spiegando “che era gestito – si legge nell’ordinanza – in parti uguali dalle famiglie mafiose di San Lorenzo e Resuttana, così come avveniva per lo stadio di calcio Renzo Barbera. In riferimento all’ippodromo, affermava che Vincenzo Graziano e Girolamo Biondino ne avevano affidato la gestione a Massimiliano Gibbisi e Giovanni Niosi. Il primo era ‘sponsorizzato’ dalla famiglia mafiosa di Pagliarelli, ma agiva per conto della famiglia mafiosa di San Lorenzo, mentre Niosi ‘agiva per conto della famiglia mafiosa di Resuttana”.

“Conosco un fantino – dice Galatolo – per dire, un’ipotesi, incorruttibile, uno che all’ippodromo prendeva legnate dalla mattina alla sera. Dovevo vincere io, allora gli altri si stavano dietro… il secondo doveva arrivare… questo e il terzo doveva arrivare quello… e così come partivano arrivavano. E poi cosa nostra investiva tutti i soldi nelle sale scommesse”. E sulle “tariffe” dei driver corrotti spiega: “Dipende da chi erano, c’era chi anche con 500 euro si accordavano, altri volevano duemila euro, 1500”.

Già nel 1998 erano state trovate delle agende con riportate le cifre che i gestori versavano ai boss come “pizzo”. “L’ingente volume di affari generato da tale impianto sportivo – spiegano gli inquirenti – non poteva che attirare anche Cosa nostra: l’ippodromo rappresenta, ormai da decenni, una delle fonti da cui l’organizzazione criminale attinge per garantire il proprio sostentamento economico. Ricade nel territorio della famiglia mafiosa di Resuttana, ma si è accertata l’esistenza di un accordo che prevede il coinvolgimento anche della famiglia mafiosa di San Lorenzo nella gestione tanto dell’ippodromo quanto dello stadio di calcio. A supporto di tale assunto vi sono le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia che, seppur acquisite a decenni di distanza tra loro sono, in tal senso, univoche e convergenti. Si evidenziava che l’ippodromo pagava il pizzo fin dai primi anni ’80”.

“L’ippodromo pagava sin dai primi anni Ottanta, quando io, Nino Madonia e Salvo Madonia abbiamo piazzato una bomba al suo interno”, diceva già nel 1997 il pentito Giovan Battista Ferrante.

Dell’ippodromo si trova traccia anche nei “pizzini” sequestrati a Sandro e Salvatore Lo Piccolo. Nel “pizzino”, catalogato come “06”, erano riportate le estorsioni commesse all’interno del mandamento mafioso di Resuttana. E c’è proprio la struttura di viale del Fante: “IPPODROMO… 442 NATALE E PASQUA 1000+1000”. E le cose col tempo non sarebbero cambiate. “Significative” per gli inquirenti sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Manuel Pasta, Vito Galatolo, Silvio Guerrera e Giovani Vitale detto “Il panda”.

I nuovi collaboratori confermano, di fatto, quanto dichiarato dai “vecchi” pentiti: “Le dinamiche descritte non sembrano essere cambiate. Oggi come ieri l’ippodromo viene descritto come una realtà pesantemente condizionata da Cosa nostra. Nel 2010 Pasta spiega che “l’ippodromo pagava il pizzo nella misura di 5.000 euro per ogni festività. Dopo l’arresto di Maurizio Spataro nel luglio 2008 l’ippodromo non ha più pagato. Il meccanismo delle corse truccate era il seguente: tramite i fantini decidevamo l’esito di una corsa e si intascavano i proventi. Ma non era facile perchè non tutti erano compiacenti”.

Secondo gli inquirenti l’ippodromo era “pesantemente condizionato dalla paura”. Emblematica la storia di un driver che non si voleva piegare ai boss. E’ “U panda” a raccontare ai magistrati che per convincerlo ad accettare i “suggerimenti” dei delegati mafiosi gli è stato incendiato il furgone. E’ stato proprio il boss, adesso collabratore, a bruciare il mezzo la sera del 16 giugno 2011.

“La prima volta che l’ho fermato… l’ho fermato a Terrasini mi sembra – racconta Vitale – che c’è una specie di scuderia, l’ippodromo, una specie di pista dove ci vanno a posare i cavalli. E lui poi aveva il camion… a Balestrate mi sembra che era il camion. Sono andato una sera là e gli ho incendiato il camion, ma ci sono andato però da solo. E ancora: “Il problema era lui. In tutte le corse il problema…perché aveva sempre cavalli forti lui”.

Tra i collaboratori che hanno confermato il clima di intimidazioni, anche Sergio Macaluso, arrestato nell’ambito dell’operazione “Talea” del 30 novembre 2017: “Loro (i driver ndr) già sapevano che l’ippodromo faceva parte del mandamento di Resuttana. Non potevano andare contro le regole del mandamento. Infatti qualcuno, dico, qualche schiaffo lo ha anche preso… Giuseppe Corona diede legnate a un guidatore perché gli fece perdere ventimila euro”.

Fonte: https://www.tp24.it/