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Il ricordo del commerciante Lucio Ferrami

Enrica Riera

«Il problema più grande della magistratura italiana è l’incapacità di comunicare il lavoro che si fa e i grandi risultati che si raggiungono».

Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, risponde così a una delle domande che gli vengono poste durante la conferenza organizzata ieri, a Cosenza, dal Liceo “Fermi” in collaborazione con il Circolo della Stampa “Maria Rosaria Sessa” e l’Osservatorio Nazionale sulle mafie “Falcone – Borsellino”.

Il tema scelto per la giornata, in cui il fronte freddo autunnale si stempera col calore umano di una giovane platea, riguarda la ’ndrangheta e i poteri occulti. «Soprattutto con i ragazzi, bisogna essere chiari – aggiunge il magistrato –. I problemi della Calabria sono tantissimi, ma con la pazienza, lo studio, il sacrificio e la consapevolezza qualche risultato si può ottenere». Lombardo, impegnato da circa dieci anni nella lotta ai fenomeni criminali e autore delle clamorose inchieste sulla ’ndrangheta stragista e sui rapporti in riva allo Stretto tra politica, logge deviate e boss calabresi, lo sa bene.

«Partecipare al vostro incontro – dice rivolgendosi agli studenti – è già un risultato. Allontana la possibilità di negare che in questa terra le cose vadano male o, anzi, che la ’ndrangheta viva solo a Reggio Calabria. La ’ndrangheta è ovunque – prosegue –, anche a Cosenza».

E proprio rievocando i tempi in cui a Reggio Calabria c’erano i carri armati per strada e diffuse erano le pratiche dei sequestri di persona, il procuratore sottolinea l’importanza di non rimanere in silenzio: «Quando studiavo al liceo, a Locri, non si parlava mai di ’ndrangheta, eppure era già potentissima. Oggi parlare dell’evoluzione che ha subito, dei santisti, dei massoni deviati e del narcotraffico equivale a zittirla, la mafia, senza, al contrario, rimanerne imbavagliati». A Giuseppe Lombardo va, inoltre, la targa dell’Osservatorio “Falcone-Borsellino”, consegnata nel corso dell’incontro da Franca e Pierluigi Ferrami, rispettivamente sorella e figlio di Lucio, il coraggioso commerciante, trasferitosi dal Nord Italia sulla costa tirrenica e ucciso nel 1981 perché non aveva inteso piegarsi al racket del pizzo. «Negli anni ‘80 in Calabria ci sono stati più di 700 morti – conclude l’aggiunto -, vittime di una guerra incivile su uno Stato che non raccontava ciò che accadeva».

E per i titoli di coda della manifestazione, a cui hanno partecipato il caposervizio di Gazzetta del Sud, Arcangelo Badolati, il presidente del Circolo della Stampa, Franco Rosito e il vicedirettore del dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Unical, Giap Parini, viene citato proprio Lucio Ferrami quando alla moglie calabrese chiese: «Perché non difendete la vostra terra?».