Caravaggio rubato dalla mafia a Palermo, per ritrovarlo ora si muove anche il Vaticano

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A quasi 50 anni dal furto del quadro che raffigura la Natività tra i santi Francesco e Lorenzo, parte una campagna internazionale. Il suo valore di mercato si aggirerebbe intorno ai 30 milioni: è inserito nella lista dei 10 capolavori più ricercati dalle polizie di tutto il mondo

Caravaggio rubato dalla mafia a Palermo, per ritrovarlo ora si muove anche il Vaticano

Ormai sembra acclarato: ci sarebbe stata la mafia dietro al furto della Natività del Caravaggio, il celebre dipinto trafugato dall’oratorio di San Lorenzo nel 1969. La tela dominava la parete sopra l’altare maggiore, dove ora c’è una copia della tela. A confermare i sospetti è stata recentemente la presidente uscente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi, presentando i risultati di un’indagine condotta dall’organismo parlamentare. E adesso, a quasi 50 anni dal furto del grande quadro che raffigura la Natività tra i santi Francesco e Lorenzo, il Vaticano ha deciso di mobilitarsi e far partire una campagna internazionale per la ricerca di quell’opera inestimabile rubata per opera della mafia e mai più ritrovata.

L’opera venne trafugata la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969. All’epoca l’oratorio palermitano nel quale la pala d’altare era conservata non aveva tutte le misure di sicurezza che ci possono essere ora, come circuiti di telecamere. Secondo gli esperti il suo valore di mercato si aggirerebbe oggi intorno ai 30 milioni di euro, ed è inserita nella lista dei dieci capolavori più ricercati dalle polizie di tutto il mondo. La sparizione del capolavoro colpì Leonardo Sciascia, fornendogli lo spunto per il suo ultimo racconto, Una storia semplice.

“Secondo noi – ha spiegato Bindi – quest’opera non è andata distrutta come si è pensato fino a un certo momento. Ancora una volta la mafia si è comportata da mafia”. Il furto sarebbe sì opera di delinquenti comuni supportato da esperti. Una volta trafugato, il quadro sarebbe finito in mano a Cosa nostra: prima al boss Stefano Bontade, poi a Gaetano Badalamenti.

Secondo Rosy Bindi “Badalamenti non ha capito la bellezza dell’opera, ma il valore economico sì. Pare che il capolavoro sia stato venduto a un mercante svizzero, che noi pensiamo di aver individuato, si è commosso davanti all’opera, ma l’avrebbe ugualmente fatta a pezzi per venderla. La mafia ne ha ricavato un consistente guadagno – ha aggiunto Bindi -. Speriamo di trovarne almeno un frammento. La nostra inchiesta è arrivata fino a questi risultati, sufficienti per riaprire, però, un’inchiesta giudiziaria e che la Pricura di Palermo sta già utilizzando. Abbiamo voluto fare questa inchiesta per dimostrare che la mafia non ha confini né geografici né di ambiti e anche noi non dobbiamo averne nel combatterla soprattutto quando ci priva di beni fondamentali come quelli della bellezza”.

In realtà la tela a più riprese è stata menzionata da diversi collaboratori di giustizia. Francesco Marino Mannoia disse a Falcone di essere stato uno degli autori materiali del furto ma poi si appurò che non si trattava di quella tela ma di un’altra. Nel 2009 il pentito di mafia Gaspare Spatuzza che disse che la tela era stata affidata alla famiglia Pullarà (capimafia del mandamento di Santa Maria del Gesù) ma che fu collocata in una stalla, senza protezione, e rosicchiata da topi e maiali. Infine il mafioso Gaetano Grado asserisce che la tela sarebbe stata nascosta, ma all’estero visto che Badalamenti l’avrebbe trasferita in Svizzera in cambio di una forte somma di franchi ad un antiquario svizzero.