Autobomba Limbadi, fermati i vicini della vittima. Il plauso dell’Osservatorio Nazionale Antimafia.

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Il 9 aprile fu ucciso vicino a Vibo Valentia Matteo Vinci e ferito gravemente il padre Francesco. Movente: una lite con il clan Mancuso della ‘ndrangheta per i confini delle proprietà. Gratteri: “Un messaggio al paese che comandano loro”.

VIBO VALENTIA – Ai Mancuso non si può e non si deve dire di no. Quale che sia la richiesta, a Limbadi, piccolo centro del Vibonese, bisogna chinare la testa e acconsentire. Per questo la matriarca Rosaria Mancuso ha ordinato che la famiglia di Matteo Vinci, “colpevole” di essersi opposta alle mire del clan sui propri terreni, fosse colpita in modo eclatante. Quel no era un affronto e un esempio pericoloso, da cancellare.

L’autobomba che il 9 aprile scorso a Limbadi ha spazzato via la vita del giovane 42enne e ferito gravemente il padre Francesco, 70 anni, era un messaggio per tutto il paese. Anzi, per tutta la zona. Al clan nessun può e deve opporsi, perché Limbadi tutta è cosa dei Mancuso. Un atto di imperio spazzato via dai 6 fermi eseguiti questa notte dai carabinieri di Vibo Valentia e del Ros per ordine della procura antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri. In manette sono finiti Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara, considerati gli ideatori dell’attentato, ma agli arresti sono finiti anche Rosina e Lucia Di Grillo, figlie di Rosaria Mancuso, il marito della donna, Domenico Di Grillo, e il fratello, Salvatore Mancuso.

Tutti quanti sono accusati a vario titolo non solo di aver coperto il piano omicida messo a punto dalla matriarca, con la collaborazione del genero, ma anche di aver partecipato alla lunga serie di aggressioni e intimidazioni subite dalla famiglia Vinci per costringerla a cedere i suoi terreni, nonché di illecita detenzione di armi clandestine, inclusa una Colt.
“Ci troviamo dinanzi all’esternazione di un potere mafioso sul territorio, non è una semplice lite fra vicini – spiega il procuratore Nicola Gratteri – Quel terreno doveva essere dei Mancuso, con le buone o con le cattive”. Per anni Francesco Vinci, la moglie Rosaria Scarpulla e il figlio Matteo, ucciso il 9 aprile scorso, sono stati minacciati e più volte aggrediti. Ma alle pretese dei Mancuso non hanno mai ceduto, per questo – hanno scoperto gli investigatori – la matriarca del clan ha deciso di infliggere loro una “punizione” esemplare. “Un’autobomba non è un modo comune di uccidere le persone. Era un messaggio – dice Gratteri – che hanno voluto inviare a tutta la comunità, a tutti quelli che stanno a contatto con il contesto di Limbadi per costringerli ad abbassare la testa”.

Una radiobomba è stata piazzata sotto il fanale destro dell’auto dei Vinci mentre padre e figlio erano impegnati nei lavori in campagna. Al termine della giornata, quando i due si sono messi in macchina per tornare a casa, non sono riusciti ad allontanarsi più di 80 metri da quel fondo conteso. L’auto è esplosa facendo scempio del corpo di Matteo Vinci e ferendo gravemente il padre, tuttora ricoverato al Centro Grandi Ustioni di Palermo.
“Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara hanno avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione e nell’esecuzione dell’omicidio – spiega il comandante provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia, Gianfilippo Magro –ma le indagini puntano ad identificare altri possibili soggetti coinvolti nella vicenda”. Quello che rimane da capire è quanto e in che misura il resto del numeroso, potentissimo e litigioso clan Mancuso sia stato messo al corrente del piano della matriarca. Di certo, per gli investigatori qualcosa sapeva il fratello, Salvatore “Mbrogghia”, anche lui arrestato dai carabinieri con l’accusa di aver partecipato ad una delle aggressioni subite dai coniugi Vinci.

A incastrare la matriarca Rosaria Mancuso e i suoi familiari, sono state le intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno confermato i sospetti degli investigatori sul quadro in cui è maturato l’omicidio e hanno svelato la diretta responsabilità della matriarca e del genero, Vito Barbara. Ascoltati dalle cimici, i due commentano le indagini in corso. La donna è preoccupata, teme che telecamere di videosorveglianza siano riuscite a immortalare Barbara. Ma lui la tranquillizza “Sono andato dalla strada giusta, dove non ci sono telecamere”. E aggiunge “i cani” – i carabinieri, nel loro linguaggio- girano a vuoto.
Ad ulteriore conferma ci sono poi le chiacchierate, registrate circa un mese dopo l’omicidio, fra l’uomo e la moglie, Lucia Di Grillo, che riguardo ad eventuali arresti si dice certa “Se doveva succedere qualcosa era già accaduta! Hai capito?”. E ancora “Vuol dire che sono al punto di partenza e non hanno prove”.  Poi “anche se qualcuno sa, non parla”, afferma convinta di poter contare sulla cappa di omertà che ha sempre protetto i Mancuso.

In effetti, fatta eccezione per la madre di Vinci, Rosaria Scarpulla, nessuno a Limbadi ha voluto o saputo dire niente dell’efferato omicidio di Matteo. Ma questa indagine, esorta Gratteri, deve far cambiare atteggiamento alla gente del posto e a tutti i vibonesi. “La popolazione non deve sottostare al dominio di queste famiglie mafiose, ci sono le condizioni affinché la comunità si ribelli e denunci. Noi siamo nelle condizioni di dare risposte sul piano giudiziario. A Vibo c’è la più alta percentuale di massoneria deviata e insieme mafiosa d’Italia, ma anche qui, in questo territorio, qualcosa sta cambiando in positivo. La gente deve convincersi che l’aria sta cambiando”.
Ci crede la madre di Matteo Vinci, Rosaria Scarpulla. “Sono stati arrestati non i presunti colpevoli ma quelli reali – dice –  Io li ho visti, li ho indicati, ho fatto nomi e cognomi. Finalmente un po’ di serenità. Ringrazio gli investigatori per questo provvedimento che mi restituisce un po’ di gioia dopo tanto dolore”.

Testo originale di Alessia Candito per Repubblica.